A PANEM ET CIRCENSES –
VITA E MORTE NELL’ARENA
Chi erano veramente questi uomini e donne, amati e odiati, cercati e reietti, lodati e criticati e che passarono alla storia senza lasciarci i loro nomi originali, senza poter sapere chi fossero, se erano sposati, se avevano figli e chiamati semplicemente “gladiatori”? In questo viaggio nel tempo cerco di fare il punto sulle più recenti scoperte e di rimettere ordine nella vastità dell’argomento, tra luoghi comuni e finte verità sparse dal cinema…
Capitolo 4
UNA GIORNATA DI GIOCHI
Proprio come ai giorni nostri non ci si limita solo ad esaltarsi competizioni sportive ma ci si cala nell’evento già dai giorni precedenti con chiacchiere, previsioni e opinioni, allo stesso modo, 2000 anni fa, il combattimento dei gladiatori nell’arena rappresentava l’ultimo atto di un periodo molto intenso; iniziato pubblicizzando l’arrivo di un munus e continuato con le chiacchiere da popina che accendevano nel popolo la passione e facevano crescere l’aspettativa. Tutto aveva inizio con i libelli, i “manifesti” che pubblicizzavano i munera ma che non erano affissi alle pareti, come oggi faremmo noi, perché non erano di carta. Questi primordiali annunci pubblicitari infatti, secondo l’usanza dell’epoca, venivano dipinti uno ad uno. Le squadre addette si fermavano nei pressi dei luoghi maggiormente popolati, come le popinae, le bettole, le cauponae, le osterie, e i bordelli, lupanaria. Questi antichi “attacchini” stendevano sul muro prescelto uno strato di calce su cui poi scrivevano i loro annunci. Prendiamo ad esempio la città di Pompei, perché la disastrosa eruzione del 79 d.C. ci ha consegnato, quasi intatti, molti libelli di vario genere. Gli attacchini di Pompei, gente come Celer, Secundus, Vesbinus, scrivevano i loro libelli con scritte rosse o nere sullo sfondo di calce bianca. Possiamo immaginare l’esultanza e la trepidazione del popolo che, alla vista degli attacchini, si accalcava intorno a loro per carpire le prime informazioni sul munus in arrivo. Era il lanista, l’impresario e proprietario della palestra di gladiatori ingaggiata per l’occasione, a dare l’incarico di dipingere i libelli. In quelli giunti a noi, possiamo leggere:
“La truppa dell’edile Aulo Suezio Cerio combatterà a Pompei il 31 maggio; ci saranno vela e venatio. Fortuna ai gladiatori Neroniani”1.
Oppure, sulla casa del “Centenario”, l’attacchino Emilio Celere, scrisse:
“Venti coppie di gladiatori pagati da Decimo Lucrezio Satrio Valente, sacerdote di Nerone, figlio di Cesare Augusto e dieci coppie di gladiatori pagati da Decimo Lucrezio Valente, combatteranno a Pompei l’8, il 9, il 10, l’11 e il 12 di aprile. Ci sarà la caccia e il velario”2.
Ancora, riferito allo stesso illustre personaggio:
“Venti coppie di gladiatori di Decimo Lucrezio Satrio Valente, flamine perpetuo di Nerone Cesare, figlio dell’Augusto, e dieci coppie di gladiatori di suo figlio Decimo Lucrezio Valente combatteranno a Pompei a partire dal 4 aprile; ci saranno la caccia alle fiere e il velario. Pol[ibio?] ha scritto l’annuncio”3.
Quest’ultimo annuncio venne dipinto tra il 50 e il 54 d.C. sulla facciata di una casa di via dell’Abbondanza, a Pompei. Proprio come ai giorni nostri all’arrivo di uno spettacolo teatrale o di un concerto, i manifesti venivano affissi anche nelle città più vicine al luogo degli scontri e questo, oltre al “passa-parola” della gente, faceva sì che il giorno prescelto l’anfiteatro fosse gremito, portando lustro e fama all’editor di turno. Nella compilazione dei libelli ci si affidava ad un vero e proprio standard che non variava tra città e città: veniva indicata l’occasione dello spettacolo, il nome dell’editor che l’offriva, a volte il nome del lanista dei gladiatori assoldati, il numero di coppie che si sarebbero avvicendate nell’arena, a volte il nome della caserma alla quale il gruppo di gladiatori apparteneva, il luogo dove si sarebbe tenuto il munus, l’eventuale inserimento di altri spettacoli nel palinsesto, come le venationes, l’eventuale presenza di velarium e sparsiones, indicazioni di vario genere per il pubblico, quali sine ulla dilatione (senza rinvii), si qua dies permittat4 (se il tempo – inteso come componente meteorologica – lo permetterà), poi chiudendo con il voto augurale, pro salute (che poteva essere anche di apertura) o feliciter. Mettendo a confronto diversi libelli possiamo trarne informazioni utili sullo stato sociale dei vari editores che li organizzavano, in quanto appaiono e scompaiono numerose voci, come il velarium e le sparsiones; costosi e complicati da allestire nel munus e quindi privilegio di pochi ricchi.
LA POMPA TRIUMPHALIS
La sera precedente i combattimenti, in una città ormai fremente per l’inizio dei giochi, l’organizzatore del munus, il munerarius, offriva una lauta cena ai combattenti, detta caena libera, alla quale erano ammessi i tifosi provenienti da ogni dove, come pubblico. Questa cena aveva un valore propagandistico per il munerarius e permetteva di incrementare il giro delle sponsiones, le scommesse; potendo ammirare da vicino gli atleti su cui si sarebbe puntato. Consumato quello che poteva essere il loro l’ultimo pasto, i gladiatori si ritiravano in preghiera per affidare ai vari numi le sorti dell’incontro. Così il provocator Mansuetus prometteva: “Se vivrò donerò il mio scudo a Venere”. La divinità più invocata era Ercole, poi Marte e infine i venatores erano ovviamente devoti a Diana. Oltre i gladiatori anche gli spettatori (e gli scommettitori) non rinunciavano ad invocare divinità o a ricorrere a sordide pratiche negromantiche. Ecco allora che negli anfiteatri sono state rinvenute le cosiddette tabulae defixionum; usate per gettare malocchio, sfortuna e quant’altro utile alla rovina di questo o quel gladiatore; e che venivano usate anche, in altro ambito, ad arrecare danno al rivale in amore. Su queste tavolette, una volta invocati gli dei inferi, si descriveva con dovizia di dettagli la sciagura da “inoltrare” al malcapitato. Dall’anfiteatro di Cartagine ci giunge un reperto del genere:
“Uccidete, eliminate, ferite Gallico generato da Prima, in quest’ora stessa entro la cinta dell’anfiteatro. Legategli i piedi, le membra, i sensi, il midollo. Bloccate Gallico figlio di Prima, perchè non possa uccidere l’orso e il toro né con un sol colpo, né con due, né con tre colpi. In nome del dio vivo e onnipotente, esauditemi, adesso, adesso, presto, presto. Che l’orso lo urti e lo ferisca!”5.
Intanto, già dalla mezzanotte, il pubblico poteva prendere posto nell’anfiteatro per essere certo di riuscire a scegliere i posti migliori. E la comodità costava cara, per chi poteva permettersi di pagare. A proposito degli spalti, c’è da sottolineare che si rispettavano delle ferree disposizioni impartite proprio da Augusto. Pare che nell’anfiteatro di Pozzuoli si verificò una grave offesa a un senatore cui venne rifiutato un posto per sedersi nel corso di uno spettacolo affollatissimo. Augusto, a seguito di tale scandalosa mancanza di rispetto verso un senatore, decise di intervenire e regolamentò la sistemazione sugli spalti con un senato–consulto: i primi posti andavano esclusivamente ai senatori, c’erano anche posti e settori riservati per le vestali e i plebei ammogliati. Augusto impose poi la separazione dal pubblico dei soldati e dei giovani adolescenti, che devono sedere accanto ai loro precettori6. Le donne erano sistemate e isolate nella parte più alta delle gradinate, con il popolino e i poveri privi di toga7. Interessante come nella sua Ars Amatoria Ovidio consigli ai giovani in cerca di avventure di andare per circhi e teatri a conoscere donne:
“Tra i luoghi ideali per cacciare donne vi sono i teatri e gli ippodromi: ve ne puoi trovare a bizzeffe! Ci vengono tutte agghindate, desiderose di piacere a chi le guarda. In questi posti tu hai la possibilità di sederti vicino a una fanciulla, la quale è costretta suo malgrado a starti a fianco, poiché a causa della folla presente non trova altri posti disponibili. E qui tu attacca discorso con lei e asseconda sempre i suoi gusti: se lei ha preferenza per un cavallo, dille che anche tu preferisci quel cavallo. Se per caso vedi che le si posa un po’ di sporcizia sul grembo, puliscilo prontamente; e anche se non vedi alcuna sporcizia, abbassati e fingi ugualmente di pulirglielo, approfittando per dare una sbirciatina alle sue gambe. Sono questi piccoli accorgimenti che riescono a conquistare le testoline leggere delle donne! Per farti un altro paio di esempi, puoi porre dietro la sua schiena un cuscino per farla stare più comoda oppure puoi sventolarla per darle un po’ di fresco…”8.
Nell’anfiteatro, pensate, nessuno poteva indossare una veste scura, plebs pullata, nella parte centrale degli spalti. Una iscrizione rinvenuta nel Colosseo9 conferma la regola che vuole i fanciulli seduti accanto ai loro precettori. Anche a quei tempi esistevano personaggi simili agli odierni “bagarini”, che occupavano i posti migliori già dalla sera e li cedevano poi al miglior offerente, che pagava caro il non aver passato la notte all’addiaccio sui freddi gradini di marmo dell’anfiteatro. Il mattino dopo, vestiti gli abiti e indossate le armature da parata, i gladiatori svolgevano la cosiddetta pompa triumphalis, una sorta di corteo trionfale che apriva i giochi e che si snodava attraverso le vie della città partendo dalla caserma, ludus, dei gladiatori e giungendo all’anfiteatro o al luogo dello scontro. Allineati nel cortile interno del ludus, i gladiatori formavano un corteo in fila per due, seguendo gli abbinamenti che avevano stabilito tre persone: il lanista, il magister, cioè l’allenatore dei gladiatori, e il medico della truppa. In questi abbinamenti di solito si seguiva la regola di non far mai combattere insieme un veterano e un principiante. Ciononostante ci giunge da Pompei un graffito che smentisce tale regola e ci narra di un certo Marcus Attilius, tiro, principiante, che combatté come murmillo contro un famoso gladiatore di nome Hilarus, vincitore di ben quattordici incontri, e vinse. Il pubblico poi risparmiò Hilarus che lasciò l’arena come missus10. Sempre Marcus Attilius combatté contro Lucius Raecius Felix, vincitore di dodici incontri, e battè anche quest’altro rivale; che venne allo stesso modo graziato dal pubblico11. Due littores con i loro tipici fasci aprivano la strada al corteo, se l’editor era un magistrato; se invece l’editor era un privato, ad aprire la strada erano inservienti con delle palme. Dietro di loro venivano i suonatori che segnavano il passo della marcia e subito appresso a questi, su una portantina sfarzosa, venivano trasportate le immagini dei penates, sia quelli pubblici che quelli della famiglia imperiale del momento. A questo punto nel corteo c’erano gli arbitri, dotati di una corta tunica per non avere impaccio nell’arena, infine l’editor, colui che aveva finanziato il munus. Appresso all’editor iniziava la fila di coppie dei gladiatori, che avanzavano tra ali di folla esultante e ansiosa di vederli combattere e che scommetteva su di loro anche grosse somme di denaro. Finito il corteo “ufficiale”, c’era il popolo; che usava accodarsi al gruppo per raggiungere l’anfiteatro in un tripudio di grida e colore. Attraverso la porta triumphalis, una delle quattro porte che si aprivano nell’ellissi dell’anfiteatro, il corteo faceva il suo ingresso nell’arena; mentre il popolo al seguito, seguendo i consigli dei dessignatores, gli addetti alla sistemazione del pubblico, andava diligentemente a occupare il proprio posto. A questo punto si passava all’ispezione dettagliata delle armi e delle armature delle coppie da parte degli arbitri, detta “probatio armorum”12, mentre le coppie designate, una volta terminato il controllo, si dividevano dal gruppo. Terminato il controllo degli arbitri e disposti a coppie i combattenti, l’editor decretava l’inizio dei giochi. Secondo la sequenza, già definita dettagliatamente da Augusto, chiamata munus legitimum, al mattino si procedeva alle venationes (proprio per questo la palestra che alloggiava i venatores a Roma si chiamava ludus matutinus) e alle condanne a morte o agli scontri non cruenti, come quelli dei rudiarii. Poi era la volta di acrobati e saltimbanchi e solo nel pomeriggio cominciavano i veri e propri scontri di gladiatori…
Anteprima e
SINOSSI
Descrizione
230 Pagine
Moltissime Foto e illustrazioni
Edizioni Efesto, 2014 – 2018
ISBN: 8894855724
I gladiatori ancora oggi esercitano un indiscutibile fascino sulle masse. Ma per quale motivo? Beh, esimi sociologi si sono espressi e hanno stabilito che il gladiatore rappresenta per molti ciò che si vorrebbe essere: sprezzanti della morte, valorosi, combattenti. Certo, questa visione però è figlia dei tempi moderni. Per la maggior parte di loro fu una sventura cui vennero condannati o che gli toccò senza scelta, per altri, gli auctorati, un lavoro. Certamente qualcuno alla fine avrà anche fatto di necessità virtù ma sicuramente è più semplice oggi immedesimarsi in loro stando comodi seduti sul divano di casa ammirando Massimo Decimo Meridio e forse invidiandolo in parte, spesso senza soffermarsi che di storico, in quel film, c’è veramente poco. Per capire chi fossero veramente questi uomini e donne che diedero spesso con morte e sofferenza divertimento alle masse, bisogna guardare a quel fenomeno sociologico con gli occhi e la mente di un antico romano, esercizio decisamente difficile per i “moderni”. Io ho cercato di fare un viaggio alla scoperta di questi uomini di 2000 anni fa…
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